Ero tra i banchi di scuola, un’atmosfera surreale accompagnava il ticchettio dei tasti della mitica Olivetti Linea 98 nell’ora di dattilografia. Avevo un pezzo di storia tra le mie mani, eppure odiavo stare con i gomiti attaccati al corpo e subire il terrore degli errori di battitura del compito in classe senza poter contare sull’attuale tasto “delete“.
1908 Nasce a Ivrea la “Ing. C. Olivetti & C.” un pezzo di grande imprenditoria italiana che papà Carlo ha saputo costruire e il genio del figlio Adriano ha saputo rivoluzionare. L’insegna, all’entrata dell’officina di 500 mq con 20 dipendenti e una produzione di 20 macchine a settimana, recitava la “Prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere“.
Alla fine degli anni ’20 raggiunse una produzione annua di 13.000 macchine, debuttando, a cavallo tra gli anni ’40, anche nel settore delle telescriventi, delle calcolatrici, dei mobili e attrezzature per ufficio. Ma è nel 1933 che il genio di Adriano impresse una nuova cultura che farà dell’azienda un esempio unico nella storia industriale italiana e europea.
Sotto la guida di Adriano, negli anni ’50, la Olivetti registrò una crescita straordinaria, creando modelli che divennero un simbolo dell’Italian style. La Olivetti passò da 200 dipendenti nel 1924 a 800 nel 1933, da 2000 nel 1938 a 4000 nel 1942. Per mantenersi grande e esplorare le frontiere del progresso tecnologico l’impresa assunse anche un respiro internazionale. Gli anni dal 1935 al 1952 significarono una svolta verso una più ampia diversificazione produttiva. Fu l’epoca delle macchine contabili, di quelle da calcolo, delle telescriventi, dei duplicatori (gli antenati delle fotocopiatrici) e dei mobili per ufficio. A cinquant’anni dalla fondazione, la Olivetti arrivò a impiegare oltre 24.000 dipendenti, divenendo leader incontrastata della tecnologia meccanica.
In quegli anni, la ditta compì la prima importante svolta tecnologica investendo con lungimiranza nella tecnologia elettronica. Adriano si rese conto di come fosse necessario investire sul progresso tecnologico e, per questo, sostituì i collaboratori del padre, con le nuove generazioni più pronte a quel radicale cambiamento. Dal 1924 al 1960, anno della scomparsa di Adriano, il valore del capitale investito dalla Olivetti era salito di circa 22 volte in termini reali.
La visione futuristica di Adriano Olivetti si concretizzava attraverso due fattori chiave:
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attrarre le persone più preparate e pronte a realizzare il cambiamento, garantendo loro maggiori compensi e la libertà di proporre e realizzare le loro idee
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progettare e realizzare una formazione capace di preparare al futuro, ossia incentrata sulle competenze
Adriano guardava sempre avanti, era un ricercatore nato. Ma non ripudiava il passato, che ben conosceva nelle forme dell’arte e della scienza. Il suo modo di seguire e formare le persone era proiettato in avanti. La Olivetti sapeva sperimentare già allora modelli formativi avanzati che il sistema nazionale non era riuscito ancora a darsi. L’azienda di Ivrea aveva capito più di mezzo secolo fa l’importanza della ricerca e della formazione.
Due sono i concetti fondamentali che ispirarono Adriano Olivetti nella sua visione imprenditoriale:
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egli era convinto che, in una società ancora tendenzialmente arretrata, l’azienda svolgesse un ruolo principe nello sviluppo economico e sociale, capace di innovare e creare ricchezza sociale
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l’azienda doveva avere come fine fondamentale la propria crescita, cioè lo sviluppo quantitativo e qualitativo dei suoi fattori produttivi (capitale e lavoro). Di conseguenza, Adriano operava affinché l’impresa massimizzasse quello che oggi noi chiamiamo il “valore aggiunto“, da tradursi in utili non distribuiti ma destinati ad autofinanziare lo sviluppo dell’impresa, in stipendi e salari di ottimo livello tali e perciò capaci di motivare l’impegno lavorativo, in formazione continua delle risorse umane, in servizi sociali e assistenziali per i lavoratori e, da ultimo, anche in riduzioni di orario a parità di salario complessivo.
La storia di quegli anni in Olivetti dimostrò la possibilità di realizzare un modello che ponesse come reale motore d’impresa la cultura e l’etica, che ne permettesse l’attualizzazione attraverso la formazione e l’esempio incarnato dalla proprietà e dal management, e che cavalcasse l’innovazione tecnologica e organizzativa favorendo al tempo stesso lo sviluppo completo delle persone.
Su queste basi la Olivetti ha prodotto e distribuito utili eccezionali, inventando il concetto di corporate image e un nuovo modo di fare pubblicità, un nuovo design industriale e una nuova architettura industriale e abitativa. Ma anche prodotti innovativi, il primo personal computer al mondo, un nuovo modello di relazioni sindacali, nuovi organismi di gestione aziendale.
Se il “fattore umano” è alla base dell’innovazione e della creatività, e se si riconoscono questi elementi come strutturali per competere sui mercati globali, la Olivetti di quegli anni fornisce idee e modelli per affrontare la sfida.
Adriano Olivetto è l’uomo che vedeva il futuro e ha saputo coniugare progettazione e produzione, management e design, architettura e servizi sociali, formazione e innovazione. Ho voluto raccontare la sua storia, perché è un esempio che ancora oggi può ispirare gli imprenditori nell’intraprendere la strada dell’espansione e dell’innovazione aziendale.